Recensione a Francesco Tomatis, Escatologia della negazione

Francesco Tomatis, Escatologia della negazione, Città Nuova, Roma 1999

Escatologia della negazione è una raccolta di saggi che, pur nella loro diversità, risultano accomunati dal tema unico della ricerca evidenziato appunto dallo stesso titolo. Il testo è composto di tre momenti. Nel primo (Negatio negationis: Nietzsche e Heidegger) l’autore analizza in Nietzsche la possibilità, attraverso l’eterno ritorno, di afferrare l’eterno pur nella sua forma residuale di attimo. Questo viene, così, investito di un valore più ampio proprio dall’essere voluto per sempre; inoltre mostra la ricchezza filosofica di una riflessione che approfondisce la caducità e ne sa elevare e sublimare il significato in senso tragico dell’esistenza. In Heidegger invece l’autore rinviene (attraverso la lettura di cinque parole-chiave, quali Verwindung, Vorstellung, Gestell, Ereignis, Gelassenheit) la vera possibilità dell’incontro dell’esser-ci, che si pone in ascolto liberandosi precedentemente da qualsiasi tipo di condizionamento presuntuoso riguardo alla conoscenza, con un divino misterioso che e-viene. «Solo l’esserci mortale può fondare un mondo, saltando nel proprio ci e facendo accadere la verità dell’essere come essere ed esserci storico della verità» (p. 68).

Il secondo momento (Escatologia della negazione: Schelling e Pareyson) illustra in quale modo Schelling tenti di penetrare le possibilità conoscitive della trascendenza negli scritti dell’ultimo periodo. In questi scritti emerge la feconda distinzione tra una filosofia negativa, razionale, logica, e una filosofia positiva, esistenziale e religiosa. A Pareyson è riservato invece il privilegio di introdurre il nucleo incandescente dell’apporto teoretico che l’autore ha il merito di fornire. Vengono trattati alla luce dell’opera pareysoniana la possibilità di un’ermeneutica esistenziale, di un’ontologia della libertà e di un’interpretazione dell’esperienza religiosa, nel tentativo di rendere ragione della realtà del male. Il male, la cui origine è in Dio ma la cui colpa per la propria esistenza è dell’uomo, viene mutato di segno dalla sofferenza e dalla speranza escatologicamente intesa di un Dio che lo ha sconfitto ab aeterno. «La realtà del male ha in Dio possibilità e origine ma anche fine e lenimento, comprensione ed eliminazione» (p. 114).

Infine il terzo momento (Fiori della negazione: Kénosis e alterità) affronta direttamente il tema del negativo e la possibilità escatologica che da esso, a partire da esso si apre. Si tratta di riuscire a negare la negazione, o meglio di negare l’egoismo da cui l’uomo non riesce facilmente a emanciparsi per accogliere veramente e seriamente l’altro, per rispettarlo e non tollerarlo, per amarlo pur non essendo con esso compatibile. La hybris dell’uomo, dal punto di vista gnoseologico, morale e politico, lo ha trascinato verso il fallimento, verso un’ipertrofia dell’ego, che ne impedisce la salvezza e la possibilità di sperare in un qualsiasi futuro; ma da questa prigione angusta è possibile uscire cedendo un po’ della propria soggettività e avvicinandosi, per credenti e non, all’insegnamento cristiano dell’esperienza della croce, della kénosis, del far vuoto di sé. La croce di Cristo mostra la radicalità del negativo e diventa risposta alla sofferenza umana, ma, allo stesso tempo, apre la possibilità del riscatto e del positivo. Tale positivo è «un ideale, la realtà ultima, escatologica, ma non può essere un progetto che possa essere compiutamente e realmente realizzato con strumenti semplicemente umani. La kénosis, il rinunciare alla nostra soggettività, non ci dà automaticamente, anche se fosse compiuta da tutte le persone di questa terra, la vera comunità d’amore che, da un punto di vista cristiano, è qualcosa ancora di ulteriore» (pp. 146-147). Anche dal punto di vista filosofico, in definitiva, bisogna operare una kénosis e riconoscere che per possedere la vera sapienza occorre far riferimento al motto delfico, conosci te stesso, e accogliere l’insegnamento socratico del sapere di non sapere affinché ci si possa fidare di qualche parola divina e ospitare la verità.